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STOLA COME GREMBIULE
 

 

FEDERICO COPPINI, DIACONO

È ancora freddo il 5 marzo a Lourdes ed ai membri del Gruppo che hanno seguito in questi giorni gli esercizi spirituali 2005 con l'Associazione non pare vero che la Messa alla Grotta (che avremmo celebrato con intensità anche se fosse rimasta alle 8,30 del mattino come da programma) abbia subito uno spostamento alle 11.
Tutto è pronto anche se il tempo – e su quello nessuno può influire, neppure il più esperto organizzatore – è molto incerto e non promette altro che acqua.
In Sacrestia, padre Saverio cerca di tirare su il morale dei sacerdoti, dei diaconi e degli accoliti presenti, che sono pronti sì per celebrare un momento tra i più importanti del nostro pellegrinaggio a Lourdes, ma che sanno comunque di dover presto lasciare il paesino ai piedi dei Pirenei per fare ritorno alle incombenze quotidiane. A qualcuno verrebbe quasi voglia di ripetere le parole di san Pietro sul Tabor: “Signore, costruiamo qui tre tende!”.

Il momento della Messa alla Grotta, "dentro" la Grotta, è sempre uno dei più emozionanti e coinvolgenti del pellegrinaggio, per cui quello che ti circonda passa sempre in secondo piano rispetto a ciò che stai celebrando e vivendo, anche interiormente. Ed anche questa mattina è così.
Qualcosa di strano e di diverso dal solito avrebbe dovuto insospettire me o Pietro di quello che stava per accadere, per esempio il fatto che con noi c'è il fotografo ufficiale che fa servizio al Santuario che si dà un gran da fare per cogliere i momenti salienti della celebrazione, oppure che Marco e Luciano indossano entrambi una nuova stola diaconale che non avevamo ancora visto.
A proposito delle stole, un'altra cosa avrebbe dovuto insospettirci: nei giorni precedenti, ogni volta che io o Pietro ci eravamo avvicinati alle stole diaconali esposte nei negozi di articoli religiosi di Lourdes, Alberta ci sconsigliava, con una scusa o l'altra, a considerare quelle di colore bianco.
Tutto questo, come ho già detto passa in secondo piano. La celebrazione eucaristica, nonostante la temperatura esterna, ci scalda dentro.
Qui abbiamo con noi Gesù nel suo vero corpo e sentiamo la presenza particolare di Maria.
Come non andare con il pensiero al primo dei legami che unisce Gesù e Maria? È la Madonna che dona al Figlio dell'Altissimo, per opera dello Spirito Santo, la natura umana, cioè quel corpo e quel sangue che egli offrirà sulla Croce per la salvezza del mondo. Lo stesso corpo e lo stesso sangue che sono stati generati da Maria verranno dati in cibo e bevanda a chi fa comunione nell'Eucaristia.
Questo significa che non avremmo l'Eucaristia e la Messa che sono fonte e culmine della nostra esistenza cristiana senza Maria, perché fu sua Madre a dare a Gesù il corpo e il sangue che egli avrebbe dato in cibo e bevanda ai suoi discepoli. Alle radici di questo Sacramento che nel 2005 abbiamo venerato con particolare devozione troviamo quindi la Vergine di Nazaret, che può ripetere le parole della Sapienza, fatte proprie anche da Gesù: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io vi ho preparato" (Pr 9,5).
La celebrazione sta per finire. Carlo è già pronto ed a nome di tutto il Gruppo regge il cero che verrà benedetto e acceso alla Grotta perché resti segno della nostra incessante preghiera di fronte all'immagine di Maria anche quando saremo partiti.
A sorpresa però Luciano e Marco invitano me e Pietro davanti l'Altare. Ma che fanno?!
Si tolgono la loro stola diaconale, quella nuova mai vista e... Marco dona la sua a Pietro e Luciano a me.
Il momento è emozionante, commovente. Questo passaggio di "segni" a meno di un mese dalla nostra ordinazione diaconale riesce a strappare lacrime non solo a noi quattro interessati che stiamo compiendo quel gesto, ma un po' a tutti. Non parliamo di Alessia, i cui singhiozzi risuonano senza che neppure lei stessa riesca a trattenerli.
Durante la brevissima processione fino al luogo in cui lasceremo acceso il cero, il cielo non ce la fa più a reggere quello che fino a questo momento ha preparato e scarica su di noi un rovescio di acqua e grandine che vanno a mescolarsi con le lacrime.
Per quanto mi riguarda (ma credo la stessa cosa valga anche per Pietro) non ricordo neppure di essermi bagnato, tanta è l'emozione di avere con me la prima stola del mio servizio diaconale.
Sono già sul pullman che ci riporta a Pistoia e guardo la mia stola. Sì, una stola in fondo che cos'è?
Questa che ci è stata regalata è preziosa.
Su un lato è ricamata l'immagine della Madre di Dio e sull'altra la stilizzazione dell'Ultima Cena, in cui Gesù non è ritratto nello spezzare il Pane e benedire il Vino, ma nel lavare i piedi ai Dodici. Guardandola, scopro il primo richiamo di chi ha voluto regalarcela: gli Apostoli in quell'immagine stilizzata non si distinguono l'uno dall'altro, non hanno l'aureola, non si riconoscono per qualche segno caratteristico del volto. Gesù infatti non ha guardato in faccia nessuno di loro, si è semplicemente chinato a lavare loro i piedi.
A Giovanni il prediletto ed a Giuda il traditore; a Simone detto Cefa (il capo), che lo ha rinnegato ed a Tommaso l'incredulo. Anche a me, diacono, il Signore chiederà di fare come lui: di servire tutti indistintamente, di “lavare i piedi” a chiunque incontri sulla mia strada, senza alzare lo sguardo oltre il polpaccio. Accettare tutti come Gesù ha fatto con quelli che il Padre gli aveva messo accanto senza perderne alcuno. Simpatici o antipatici, sani o malati, giovani o anziani, bianchi, neri o gialli, cristiani o no, quelli che secondo il nostro modo di pensare sono “i buoni” e quelli che per noi, giudici sempre sommari, sono “i cattivi”.


Sì, in fondo una stola che cos'è?
Un pezzo di stoffa che porterò a tracolla, inventato dai primi diaconi per lasciare libera la mano destra e poter, con quella, aiutare gli altri senza ingombro o da utilizzare come panno per tergersi il sudore. Un pezzo di stoffa come un... che posso dire?
Ecco! Mi viene in aiuto con le sue parole il vescovo Tonino Bello: la stola è un pezzo di stoffa da lavoro, come il grembiule.
In effetti il grembiule è l'unico abito liturgico indossato da Gesù, il quale per la sua prima Messa solenne nella notte del Giovedì Santo non indossò né stole, né amitti, né casule o piviali: il Vangelo parla solo di un rozzo panno con il quale il Maestro si cinse i fianchi.
Scrive Don Tonino in “Stola e Grembiule”: "La cosa più importante, comunque, non è introdurre il grembiule” nell'armadio dei paramenti sacri, ma comprendere che la stola ed il grembiule sono quasi il diritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l'altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica.
Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile". Eccolo il secondo messaggio di chi mi ha regalato una stola.
Sono passati ormai sette mesi da quei giorni di marzo. Sei, da quando il 3 aprile del 2005 “mediante la preghiera della Chiesa, l'effusione dello Spirito Santo e l'imposizione delle mani del Vescovo” siamo stati ordinati Diaconi.
In quell'occasione Luciano e Marco, secondo il rito, ci hanno finalmente imposto quella bianca stola che ci avevano donato a Lourdes. L'emozione si è ripetuta, accentuata dalla presenza di tante persone care intorno a noi che ci hanno fatto festa.
Oggi l'eco e l'euforia di quei momenti di gioia si sono attenuate. Il nostro sguardo è rivolto ai nuovi servizi che ci sono stati assegnati ed i nostri sforzi tesi a far si che la nostra vita quotidiana divenga in ogni momento una diakonia.
Ma ogni volta che indosso quella stola ricordo il momento di fronte alla Grotta di Lourdes.

 

 

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